L’arrivo della primavera segna un passaggio che si ripete ogni anno da una stagione di chiusura ed “accumulo” ad una di riapertura e di “alleggerimento”.
La tradizione vede associare alla stagione della rinascita un desiderio di rinnovamento e di pulizia che ha un suo fondamento negli esiti indesiderati che gli eccessi alimentari e la minor attività fisica durante i mesi invernali, quest’anno più dei precedenti ahimè, possono determinare.
Si parla spesso di depurazione ma in verità il nostro corpo questo lavoro lo conosce bene già da sé e guai se così non fosse! Per allontanare le scorie derivate dal metabolismo di alimenti e altre sostanze (farmaci, alcol…) esso impiega gli emuntori, ovvero organi ed apparati preposti proprio a questa funzione di “pulizia”: il fegato, i reni, la cute, l’intestino e i polmoni.
Tra questi emuntori, il fegato è il principale detossificante: grazie al lavoro delle sue cellule (epatociti) le sostanze tossiche (assunte con gli alimenti, farmaci, alcol, conservanti, coloranti…) vengono eliminate attraverso la loro trasformazione in composti innocui o il loro legame ad altre sostanze che ne favoriscono l’eliminazione.
Il fegato è a tutti gli effetti una ghiandola poiché produce e secerne numerose sostanze e la sua fisiologia è molto complessa in quanto preposto a numerose funzioni metaboliche oltre a quella emuntoria:
  • produzione della bile fondamentale per la digestione dei grassi
  • produzione di colesterolo che (nella giusta quantità) è essenziale per la vita delle cellule del corpo
  • sintesi dei trigliceridi fonte fondamentale di energia per la vita cellulare
  • immagazzinamento del glucosio sotto forma di glicogeno
  • deposito per la vitamina B12, il ferro e il rame
  • sintesi di nuovo glucosio in caso di necessità dell’organismo
  • produzione di alcuni fattori indispensabili alla coagulazione
ecco perché il “benessere” del fegato è legato a quello di tutto l’organismo.
Esistono condizioni (alimentazione scorretta, abuso di alcolici, prolungate terapie farmacologiche, sovrappeso…) nelle quali si può instaurare un sovraffaticamento di questo organo e può essere utile sostenerlo nelle sue numerose funzioni, tra cui quella detossificante, affinchè possa lavorare al meglio.
In fitoterapia le piante usate tradizionalmente per il loro tropismo epatico sono note fin dall’antichità e la ricerca scientifica ha potuto confermare e dare spiegazione della loro attività.

CARDO MARIANO Silybum marianum L. (frutti)

Il cardo mariano è la pianta medicinale più studiata tra quelle con azione epatoprotettiva.
All’interno dei suoi frutti l’insieme di tre diversi flavolignani costituiscono la silimarina, una sostanza dallo spiccato tropismo per il fegato nel quale si concentra e svolge la sua attività epatoprotettiva e rigeneratrice dell’epatocita, qualora il danno degenerativo del tessuto epatico sia ancora reversibile.
L’azione epatoprotettiva della silimarina è multifattoriale, si avvale cioè di più attività (antiossidante, antinfiammatoria, antifibrotica, endocrino-metabolica) che hanno come risultato una migliore funzionalità del fegato e la sua protezione.
In particolare è stato dimostrato che la silimarina ha un effetto stabilizzante sulla membrana dell’epatocita, dovuta alla sua azione antiossidante che impedisce l’attacco dei radicali liberi con il conseguente danneggiamento della cellula epatica.
Questa attività antiossidante insieme a quella insulino-sensibilizzante vengono correlate all’azione epatoprotettiva del cardo mariano nella steatosi epatica, il cosiddetto “fegato grasso”.
La protezione dell’epatocita da agenti tossici, siano essi di sintesi che naturali, avviene anche per azione diretta sulla membrana della cellula dove la silimarina ha dimostrato di competere per lo stesso recettore al quale si legano alcune di queste sostanze, impedendo così la loro penetrazione.
E’ invece all’interno dell’epatocita, a livello del nucleo, che la silimarina stimola la sintesi proteica promuovendo la rigenerazione del tessuto epatico.
L’OMS nel 2002 ha riconosciuto l’impiego dell’estratto di cardo mariano standardizzato in silimarina per il trattamento di intossicazioni croniche o come adiuvante nelle epatiti e nelle cirrosi epatiche.
Ancora una volta sottolineiamo l’importanza della titolazione, della standardizzazione ed anche dell’impiego del fitocomplesso che può rafforzare ed equilibrare l’azione del principio attivo attraverso quell’insieme di sostanze che ne possono migliorare la biodisponibilità e ampliare lo spettro d’azione.
In questo senso i frutti del cardo mariano possiedono anche attività amaro-tonico-coleretiche favorenti un miglioramento delle funzioni digestive che si affianca all’azione epatoprotettiva.
L’utilizzo del cardo mariano richiede cautela negli ipertesi per la presenza nei suoi frutti di tiramina, una sostanza con attività simpaticomimetica.
Esiste teoricamente una possibile accelerazione dell’eliminazione degli estrogeni e per questo è sconsigliato il suo impiego in donne che assumono contraccettivi orali o terapia ormonale sostitutiva.
Attenzione va posta anche alla concomitante assunzione di farmaci poichè, sebbene a dosaggi più elevati di quelli consigliati, la silimarina è in grado di inibire il citocromo P450, uno dei sistemi enzimatici attraverso il quale il fegato metabolizza i farmaci.
E’ per questo che è sempre importante comunicare al farmacista i farmaci ed anche gli integratori che si stanno assumendo nel momento in cui si chiede il consiglio per l’utilizzo di un integratore!

CARCIOFO Cynara scolymus L. (foglie)

Sicuramente già apprezzato gastronomicamente da molti di voi proprio in questo periodo dell’anno, anche il carciofo è tradizionalmente noto per le sue proprietà favorenti la funzionalità epatica.
Le sue foglie, ricche di polifenoli e acidi organici, in particolare di acido clorogenico nel quale viene titolato il suo estratto secco,  possiedono attività coleretica e colagoga (aumento della secrezione della bile e del suo riversamento nell’intestino), epatoprotettiva, ipolipemizzante e diuretica.
L’attività sulla secrezione biliare determina un miglioramento della digestione dei grassi e stimola la motilità intestinale.
Anche il carciofo possiede attività epatoprotettiva che dipende in buona parte dalla capacità dei suoi estratti di rendere inoffensivi i radicali liberi prima che possano danneggiare il fegato e si manifesta con una riduzione della permeabilità delle cellule epatiche.
Un ricercatore francese, in un interessante esperimento, ha preso in esame le attività dei singoli componenti attivi del carciofo e del suo fitoestratto completo (contenente dunque anche altre sostanze considerate prive di attività) concludendo che la massima attività si ottiene proprio con quest’ultimo confermando ciò che già sosteneva Aristotele ovvero che “il tutto è maggiore della somma delle sue parti”!
Alla base dell’attività ipolipemizzante del carciofo vi sono l’inibizione della sintesi del colesterolo a livello epatico e la diminuzione del rapporto LDL/HDL, ma ad essa concorre anche l’attività coleretica attraverso una maggior eliminazione di sali e acidi biliari ricchi di colesterolo.
Il carciofo possiede anche attività diuretica caratterizzata da aumento dell’eliminazione dell’urea, questo sembra avvenga per una stimolazione del metabolismo epatico di sostanze azotate con conseguente trasformazione in urea, sostanza più facilmente eliminabile per via renale rispetto ai composti di partenza.
Questa proprietà diuretica del carciofo agisce in sinergia con quella a livello epatico in un obiettivo di miglioramento delle funzioni di auto-depurazione dell’organismo.
Il carciofo è ben tollerato eccetto in caso di occlusione delle vie biliari o in presenza di calcoli biliari, controindicazioni legate alla sua spiccata azione coleretica.

BOLDO Peumus boldus Molina (foglie) 

Il boldo è tradizionalmente conosciuto per la sua attività sulla bile in particolare sulla sua secrezione e sulla sua fluidità, ne diminuisce infatti densità e viscosità favorendo la sua secrezione nell’intestino.
A conseguenza di ciò migliorano le funzioni digestive ed anche l’attività dell’intestino per un effetto lassativo dovuto all’aumento dei sali biliari nel suo lume.
Il principio attivo cui si deve la fluidificazione della bile è la boldina, la quale ha dimostrato anche attività spasmolitica a livello gastroenterico.
Il boldo, come le piante precedentemente descritte, possiede anch’esso un’azione antiossidante che concorre a proteggere le cellule epatiche dall’azione dei radicali liberi.
L’impiego del boldo è controindicato in caso di calcoli biliari o di occlusione delle vie biliari.

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