Passeggiate all’aria aperta ed esposizione al sole: binomio perfetto per la salute delle nostre ossa e non solo!
Peccato che le lunghezze d’onda UVB che inducono il nostro corpo a sintetizzare la vitamina D così preziosa per il nostro organismo siano le stesse responsabili delle scottature solari e delle mutazioni genetiche che favoriscono la comparsa di tumori cutanei, rendendo indispensabile l’utilizzo di protezione solare quando ci esponiamo al sole.
Questa del conflitto tra vitamina D e protezione solare è un’annosa questione.
E’ tuttavia di appena un anno fa una revisione sistematica pubblicata sul British Journal of Dermatology la quale, prendendo in esame l’insieme di studi fatti sull’effetto della fotoprotezione sulla vitamina D, conclude che, in un contesto di vita reale (e non in laboratorio), l’utilizzo di creme solari non compromette la produzione di vitamina D.
Una possibile interpretazione di questi dati è che nessun filtro scherma il 100% dei raggi solari UVB e che la crema solare per rispettare ‘alla lettera’ il fattore di protezione indicato sul prodotto dovrebbe essere applicata in quantità abbondanti (2 mg/cm² di cute per ogni singola applicazione) e distribuita in queste quantità in modo uniforme su tutta la superficie corporea più volte nell’arco della giornata.
Dunque approfittiamo dei benefici del sole continuando a proteggerci!

MA QUANTO SOLE?

L’esposizione cutanea al sole necessaria per massimizzare la sintesi di vitamina D è abbastanza breve ed il processo avviene durante i primi minuti di esposizione. Un’esposizione al sole per 2 o 3 volte alla settimana di viso, braccia e gambe  per 15/20 minuti dovrebbe soddisfare il fabbisogno di vitamina D.

Ma la questione non è così semplice ed esistono numerosi variabili che influiscono sul tempo di esposizione necessario a sintetizzare quantità sufficienti di vitamina D.

Innanzitutto dipende da quale sole: le radiazioni UV-B devono essere tra i 290 e 315 nm e ciò dipende dalla latitudine , dalla stagione e dall’ ora.

Dipende poi anche dalla pigmentazione della pelle: la carnagione molto chiara consente ai raggi del sole di penetrare maggiormente attraverso la pelle favorendo la sintesi di vitamina D, contrastando in parte lo scarso irraggiamento solare dei luoghi dove maggiormente vivono questi soggetti. Questo fenomeno è conseguenza di un vero e proprio adattamento evolutivo: dove c’è meno sole la pelle si è adattata per avere meno melanina che assorbe i raggi UV. Viceversa chi ha la carnagione molto scura dovrà esporsi al sole più a lungo per sintetizzare la vitamina D.

Anche l’ inquinamento , quando elevato, funge da filtro per le radiazioni del sole.

G li anziani sono soggetti a rischio carenza sia per il calo fisiologico della capacità di sintetizzare la vitamina D che per la riduzione dell’attività all’aria aperta e conseguentemente della loro esposizione al sole.

Lo stile di vita (il tempo passato all’aperto) e le tradizioni culturali (abbigliamento coprente la maggior parte del corpo) sono anch’esse variabili individuali che possono influire sulla sintesi endogena di vitamina D.

L’ obesità costituisce un fattore di rischio carenza poichè per il suo carattere lipofilo la vitamina D si distribuisce quasi totalmente nel tessuto adiposo, da cui viene liberata in piccole quantità rispetto alla quota immagazzinata. Pertanto una maggiore massa adiposa “diluisce” la vitamina D.

Insufficienza epatica e/o renale riducono la sintesi della forma attiva della vitamina D poiché i due organi rappresentano due passaggi cruciali per la sua attivazione.

Infine malattie che determninano un malassorbimento intestinale come pure l’impiego di alcuni farmaci (anticonvulsivi, anti rigetto, anti HIV, corticosteroidi e ketoconazolo) possono ridurre la disponibilità di vitamina D.

..E QUANTA VITAMINA D?

 
La vitamina D ottenuta con l’esposizione al sole come anche quella introdotta con la dieta è in ogni caso una forma ancora inattiva che deve subire due ulteriori passaggi, il primo nel fegato ed il secondo nei reni, per diventare il calcitriolo cioè l’ormone effettivamente dotato di attività.

Il 25(OH)colecalciferolo, che si forma dopo il passaggio nel fegato, è il principale metabolita circolante della vitamina D e per questo la sua concentrazione nel sangue è il parametro che viene impiegato per valutare la quantità  di vitamina D presente nell’organismo.

Il suo valore considerato normale è tra 30 e 100 ng/mL ma secondo alcuni studiosi 30 costituirebbe un limite eccessivo nei soggetti sani.

Sebbene un dosaggio ematico della vitamina D in circolo resti il miglior modo per capire se quella che produciamo grazie ai raggi solari e/o introduciamo attraverso la dieta sia sufficiente a mantenere una concentrazione idonea alle necessità dell’organismo, il nostro stile di vita e le nostre abitudini alimentari possono già darci qualche indizio se siamo a rischio carenza.

UI? NESSUN MISTERO

Quando leggiamo il contenuto di vitamina D, sia all’interno dei farmaci che degli integratori, troviamo questa dicitura UI che è l’acronimo di UNITA’ INTERNAZIONALI , ma cosa vuol dire?

L’ UI è un’unità di misura dell’attività biologica di una sostanza ovvero indica la quantità di una sostanza necessaria per produrre un particolare effetto biologico (riconosciuto a livello internazionale appunto).
Poiché la vitamina D esiste in forme diverse, utilizzando l’unità internazionale è possibile confrontare diverse forme e preparazioni di questa vitamina.

VITAMINA D METAGENICS